STORIA
Frabousan Ki Taiou
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Già nei tempi antichi, quando Frabosa Soprana venne fondata da pastori di origine occitana intorno al III sec. d. C., il paesaggio delle vallate frabosane era caratterizzato da rocce, acqua e boschi. Infatti l’origine del nome "Freabulza" sembrerebbe voler dire “ferro e legna” i due prodotti che nell’antichità erano più abbondanti e caratteristici in questa regione.

Tra il XVIII e il XIX secolo d.C. l'economia si basava su ciò che metteva a disposizione la natura, favorendo in primis pastorizia e agricoltura montana.
In questo contesto di economia autarchica notevole importanza ebbe la nascita di piccole industrie legata alle cave di pietra e marmo e l’installazione di officine (frere e martinetti) che utilizzavano la forza motrice dei torrenti per far girare le macchine.

Anche l’artigianato famigliare cominciò a essere ben diffuso. A Frabosa Soprana vi erano ottimi coltellinai ed alla frazione Serro abili scalpellini e lavoratori del marmo, mentre nei borghi più a monte intere famiglie provvedevano al taglio del bosco e alla produzione del carbone di legna poi utilizzato anche per forgiare le lame taglienti dei coltelli e temprare le punte degli scalpelli.

Praticamente estinta, ma ancora vivo negli
anziani il ricordo del grido “Frabousan Ki Taiou”, la tradizione dei ferri taglienti viene ritrovata da Chicco e Dodo nel 1994.





 
In un questo piccolo paese del Monregalese, Frabosa Soprana, venivano prodotti affilati coltelli e ferri taglienti.  Dalle ricerche svolte è siamo risaliti a un documento che certifica la tradizione coltellinaia frabosana già dal 1790;
si tratta di un attestato di merito del lavoro, di epoca fascista, rilasciato all'artiere
Battista Liprandi (Titò).

Si trattava di una produzione artigiana a carattere famigliare che fu continuata fino al 1960 dai discendenti di Titò, Pierino e Carlin.
Altro ramo dei coltellinai era quello della famiglia Gastone; “Andrea del Cantun” aveva il suo laboratorio proprio nel “Cantun”,  vicino al laboratorio dei Liprandi.

In seguito al ritrovamento dei laboratori di Titò e di Andrea del Cantun possiamo affermare che le lame dei maestri coltellinai riportano quasi sempre le sigle: L.B.; L.P.; A.G.
Le lame frabosane venivano apprezzate ovunque, dai monti al mare, nelle malghe del Mondolé come tra le vigne di Langa.
Non solo coltelli chiudibili (serramanico) ma anche trincianti e da scanno, utilizzati dai macellai, rasoi e ferri taglienti vari per un uso a 36° gradi. Coltelli perfetti anche per tagliare una “Raschera”  da gustare in buona compagnia o per spalmare del gustoso "Brüss" su una fetta di pane abbrustolito.

Il “Frabousan” insieme al “Vernantin" , rappresentano le due più tipiche e tradizionali manifestazioni dell’arte coltellinaia
in provincia di Cuneo.

 

 


La fama dei mastri coltellinai frabosani andava oltre il contesto locale; ad esempio i vignaioli langaroli utilizzavano i “Frabousan” durante la vendemmia, in particolare la roncoletta serramanico, usata per tagliare il raspo d’uva dal tralcio.
il "Frabousan" a lama dritta era usato prevalentemente per scannare animali da allevamento famigliare (maiale e conigli)
quello a lama allungata e panciuta (di certo il più conosciuto) era ottimo coltello da tasca adatto a tutti gli usi.

I coltellinai erano soliti partecipare ai mercati per vendere il loro prodotto; ancora adesso a Mondovì gli anziani si ricordano del tipico urlo lanciato dai coltellinai:
“Frabousan Ki Taiu”
(ovvero "Frabousan che tagliano", in riferimento alle doti delle affilate lame).
A questi rispondevano i coltellinai di Vernante: "Vernantin chi brusju"
(Vernantin che bruciano, alludendo al filo tagliente della lama).


Per costruire il manico veniva utilizzato il legno
di bosso (Buxus sempervirens). 
Da testimonianza scritta e orale si è saputo che il bosso (il dialetto locale “martel”) veniva comprato in Val Tanaro o a Pieve di Teco e portato a Frabosa Soprana a spalle passando per il Bocchin dell'Aseo o utilizzando la bicicletta,
in questo caso facendo la Val Casotto
e la Colla di Garessio.